La sentenza n. 25427/2020 della Cassazione precisa che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (art. 12 bis D.lgs. n. 74/2000) può colpire la sola parte del conto corrente bancario che il Pubblico Ministero abbia verificato derivante all’alimentazione operata dal cointestatario indagato. In altri termini, non rileva la semplice disponibilità giuridica che il cointestatario ha della complessiva giacenza del conto, bensì la sua concreta riferibilità, in tutto o in parte, all’indagato.

La sentenza in commento prende avvio dalla necessaria proporzionalità del sequestro rispetto alla finalità perseguita, funzionale ad evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà. Di qui la necessaria valorizzazione dell’onere motivazionale, attraverso il quale il giudice assicura che non si verifichi un inutile sacrificio di diritti – nel caso di specie, quelli del cointestatario non indagato – il cui esercizio di fatto non pregiudicherebbe la finalità cautelare perseguita.

Sulla base di questo duplice presupposto, “ciò che dunque deve essere accertato non è la materiale disponibilità da parte dell’indagato del denaro versato sul conto corrente cointestato … quanto, piuttosto, il fatto che il denaro sia causalmente ‘riferibile’ – riconducibile – allo stesso indagato, provenga cioè da questi, perché ciò solo consente di affermare, in ragione della sua fungibilità, che quel bene sia profitto o prezzo del reato”.