Raccontare l’omicidio di Luca Varani equivale a chiedersi se la scrittura possa raggiungere una verità più profonda di quella giudiziaria. Alla fine, la risposta sembra essere negativa: la colpa di Manuel Foffo e Marco Prato è talmente smisurata e priva di moventi da sfuggire a qualsiasi spiegazione, pure a quelle artistiche.

“La città dei vivi” di Nicola Lagioia resta però un compattissimo e incalzante romanzo senza finzione che merita di essere letto. Intanto per il ritratto degli interni familiari, degli assassini e della vittima. Interni romani che più medi non si potrebbe, lontani anni luce dai multipli disequilibri personali dei protagonisti di questo incubo nel rapporto con gli stupefacenti, il denaro, la sessualità, gli altri: in una parola, con sé stessi. E poi per le molte domande che ci rivolge, sul ruolo del caso nelle nostre esistenze (a quali condizioni la nostra vita avrebbe potuto deragliare?), sulla genesi del male (il diavolo, la follia o la Città Eterna?) e sugli impossibili esiti riparativi della sanzione penale (l’incontro fra le tre famiglie avrebbe facilitato l’elaborazione del lutto che la vicenda processuale non è in grado di fornire a chi resta?).